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Santi del 19 Ottobre

Il mio Santo > I Santi di Ottobre

*Beata Agnese di Gesù (Galand) de Langeac - Domenicana (19 ottobre)
Le Puy-en-Velay, 17 novembre 1602 - Langeac, 19 ottobre 1634

Entrò prima nel Terz'Ordine e poi nel 1623 nel monastero di Langeac. Riconosciute le sue virtù, fu presto maestra delle novizie e poi priora.
La fama di santità e gli uffici delicati da lei ricoperti le attirarono non solo lodi, ma anche calunnie e invidie, perciò nel 1631 fu destituita da priora.
Accettò con grande serenità tutte queste ingiuste sofferenze offrendole a Dio perché in Francia fossero applicati i decreti del Concilio di Trento sulla formazione del clero.
Ricevette dalla Vergine la missione di pregare per l'abate di Prébac, che lei conobbe solo dopo alcuni anni: si trattava di J. J. Olier, che lo Spirito Santo suscitò per la fondazione dei primi seminari in Francia. A lui comunicò il suo segreto: l'intima unione con Dio.
Etimologia: Agnese = pura, casta, dal greco
Martirologio Romano: A Langeac lungo il fiume Allier in Francia, Beata Agnese di Gesù Galand, vergine dell’Ordine dei Predicatori, che, priora del convento, rifulse nell’ardente amore per Gesù Cristo e nella dedizione alla Chiesa, offrendo continue preghiere e penitenze per i suoi pastori.
Agnese nacque il 17 novembre 1602 in una famiglia di sette figli a Le Puy – en – Velay dove il padre gestiva una bottega di coltelli.
La città, fin dal medioevo, è un centro di pellegrinaggi mariani tra i principali della Francia.
Agnese crebbe perciò educata nella preghiera e a sette anni si consacrò a Maria, come sua schiava d’amore.
A nove anni prese a recitare l’ufficio quotidiano in onore dello Spirito Santo.
Nel 1621 divenne sorella nell’Ordine della Penitenza di San Domenico e nel 1623 fu accettata come Monaca Conversa nel Monastero di Santa Caterina da Siena, edificato in quell’anno nella cittadina di
Langeac. Esso apparteneva con altri trentuno al movimento di riforma inaugurato nel sud della Francia da Padre Sebastiano Michaelis.
Nel 1625, nella festa della Purificazione della B. V. Maria emise la Professione Solenne in qualità di Monaca Corista. Fu Maestra delle Novizie e due volte priora.
A imitazione della mistica maestra di Siena, visse appassionata di Cristo e della Chiesa.
Ispirata da Maria pregò e soffri per il giovane ecclesiastico Giovanni Giacomo Olier, facendogli conoscere di essere chiamato a fondare i primi Seminari in Francia.
Gli ultimi tre anni della sua breve vita, amareggiata da diffamazioni invidiose, che la fecero rimuovere da l’ufficio di Priora, furono da lei offerti in sacrifici spirituali per la futura Congregazione dei Preti di San Sulpizio, istituita da Olier.
Tenne un quotidiano rapporto con il suo angelo custode. Morì il 19 ottobre 1634. Il suo corpo è conservato nel Monastero di Langeac.
Papa Giovanni Paolo II il 20 novembre 1994 l’ha beatificata assieme a Padre Giacinto Cormier, Maestro Generale dal 1832 al 1916, il quale riconobbe di dovere la sua vocazione alle preghiere di Madre Agnese di Gesù.
(Autore: Franco Mariani – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Agnese di Gesù de Langeac, pregate per noi.

*Beato Antonio di Vercelli - Francescano (19 ottobre)

† 1575
Il Beato Antonio di Vercelli è un francescano vissuto nel XVI secolo. Non deve essere confuso con l’omonimo Beato da Vercelli, vissuto nel secolo precedente.
Il Beato Antonio era nato in una famiglia ricca di Cremona. Entrò molto giovane tra i minori osservanti, in un convento della provincia di Novara. “Il suo intento era quello, di “voler fuggire le morbidezze e vivere per amor di Dio”.
Dopo aver trascorso parte della sua vita in vari conventi della provincia di Novara, è stato assegnato al convento di santa Maria di Betlemme, fondato nel1450 nella città di Vercelli, sul luogo dove aveva vissuto l’eremita Santa Ugolina. Nel testo di Aldo Ponso “Duemila anni di santità in Piemonte e Valle d’Aosta” si riporta che morì proprio in questo convento nel 1575. Il suo corpo viene “tenuto in onore e venerazione, fino alla promulgazione dei Decreti di Urbano VIII”. La sua memoria nei leggendari francescani era fissata nel giorno della sua festa, il 19 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Archivio Parrocchia)

Giaculatoria - Beato Antonio di Vercelli, pregate per noi.

*Sant'Aquilino di Evreux - Vescovo (19 ottobre)

Martirologio Romano: A Évreux sempre in Francia, Sant’Aquilino, vescovo, che, come si tramanda, era un soldato dedito a opere di bene e, fatto con il consenso della moglie voto di continenza, venne, infine, eletto vescovo di questa sede.
Nato verso il 610 o 620 a Bayeux da famiglia nobile, prese moglie e andò in guerra sotto il comando di Clodoveo II. Durante la sua lunga assenza, la sposa fece voto di osservare la continenza con lui per un anno se lo avesse riavuto sano e salvo.
Al suo ritorno tutti e due si impegnarono definitivamente col voto di castità.
Aquilino fissò allora la sua dimora a Évreux dove la fama della sua virtù gli valse la successione a Eterno sul seggio vescovile.
Appare fra i vescovi che assistettero alle esequie di Sant'Ouen (Audoenus) a Rouen nel 683 e al concilio tenuto nella stessa città nel 688-89.
Morì verso il 695.
La sua festa, fissata al 19 ottobre, è a volte menzionata al 18 dello stesso mese, o al 15 febbraio, o al 18 luglio. Vi è pure confusione nel Breviario di Évreux ove sono menzionati due Santi Aquilini.
La sua vita, scritta nel sec. XII da un monaco benedettino, è senza dubbio un rimaneggiamento allungato di una Vita anteriore. A lui furono dedicate molte chiese, una delle quali, nei sobborghi, divenne la cappella del seminario di quella diocesi.
(Autore: Gérard Mathon – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Aquilino di Evreux, pregate per noi.

*Sant'Asterio di Ostia - Martire (19 ottobre)

Martirologio Romano: A Ostia nel Lazio, Sant’Asterio, martire.
Vissuto in epoca incerta. I suoi atti, se mai sono esistiti, per l'imprecisato numero di redazioni e alterazioni, ne hanno sdoppiato la figura in due personaggi omonimi, entrambi vissuti nell'ambito del III sec., entrambi martiri, ma attraverso vicende assolutamente indipendenti.
Il primo, secondo gli atti del Papa Callisto, sarebbe stato quello dei 44 presbiteri ordinati da questo Papa (Eusebio, Historia Ecclesiastica, VI, 43), che ne recuperò le spoglie dal pozzo e le seppellì nel cimitero di Calepodio, sulla via Aurelia, la vigilia delle idi di ottobre, il 14.
Sei giorni dopo Alessandro Severo l'avrebbe fatto precipitare dal ponte Sublicio. Il corpo sarebbe stato rinvenuto ad Ostia ed ivi seppellito il XII giorno prima delle calende di novembre, cioè il 21 ottobre del 222, primo anno d'impero di Alessandro (Acta SS. Octobris, IX, Bruxelles 1858, p. 7).
Ma una iscrizione del cimitero di Commodilla, sulla via Ostiense, ricorda la depositio di un certo Paschasius il IV giorno prima delle idi di ottobre, cioè il 12, otto giorni prima della festa di Sant'Asterio, che viene posta, come nel Martirologio Geronimiano, al 19 ottobre.
Quindi, il dies natalis del presbitero Asterio, secondo la passio Callisti, sarebbe il 21 di ottobre, secondo l'iscrizione di cui sopra, il 19.
L'agiografo che compilò la Passio SS. Marii et Martae fece vivere Asterio una cinquantina d'anni più tardi, sotto l'imperatore Claudio II il Gotico e ne fece un princeps del prefetto Calpurnio, convertito e battezzato dal presbitero san Valentino.
L'occasione di venire a contatto con una comunità cristiana gli era stata offerta dallo stesso prefetto, che, stimando la sua preparazione filosofica, gli aveva affidato il presbitero Valentino per indurlo all'apostasia: «... si potuerit eum mollibus sermonibus humiliare...». Valentino, invece, discettando sulla verità e sulla illuminazione divina, turbò a tal punto Asterio che questi gli raccomandò la figlia cieca; Valentino operò miracolosamente la guarigione:
«... filiae eius visum precatione restituerat...» e Asterio «cum omni domo sua» chiese il battesimo e ricevette la cresima dal papa Callisto (!). A questo punto la vicenda di Asterio si collega alla vera e propria Passio SS. Marii et Martae tramite un motivo comunissimo all'agiografia dei martiri: quello delle visite. Infatti Mario e Marta si rifugiano nella sua casa e vi restano nascosti per più di un mese. Claudio li sorprende e li fa incarcerare. Alla consueta imposizione di sacrificare agli dèi Asterio risponde con accenti nobilissimi: «Sacrificent eis et cum eis pereant qui eorum similes sunt». Tutti, allora, sono inviati ad Ostia per esservi tormentati e uccisi.
Il preside Gelasio fa avvolgere Asterio al cavalletto, poi con i compagni lo espone, invano, alle fiere e alle fiamme, finché lo fa decapitare, mentre gli altri sono lapidati o massacrati, fuori le mura di Ostia, il XV giorno prima delle calende di febbraio, cioè il 18 gennaio (Acta SS. Ianuarii, II, Venezia 1734, p. 190). Dufourcq sostenne che il nome Asterio sia stato inventato per illustrare la famiglia di Turcius Rufius Apronianus Asterius, console nel 494; l'ipotesi si rivela inattendibile per essere il culto di Asterio molto più antico.
Già nel Libellus Precum (ca. III-IV sec.) Faustino e Marcellino parlano di un prete Macario, morto in Ostia e seppellito nella basilica del martire Asterio.
Della basilica abbiamo ulteriori notizie dal Liber Pontificalis (I, pp. 376-80) dove si dice che Sergio II la restaurò alla fine del VI sec., come circa un secolo dopo, Leone III (ibid., II, 14).
Già in quest'epoca però la chiesa era intitolata a Sant'Aurea e di Sant'Asterio s'era persa la memoria con le reliquie.
(Autore: Maria Vittoria Brandi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Asterio di Ostia, pregate per noi.

*Santa Cleopatra (19 ottobre)

Era molto devota di San Varo, un martire egiziano e principio del IV secolo. Dopo la morte del marito, un ufficicla egiziano, chiese al preside della provincia di poterlo seppellire in Palestina sua terra natale.
Ma invece della salma del marito, portò le reliquie di san Varo e le seppellì a Syre o Edra, sul monte Tabor, nella tomba della di lei famiglia.
In seguito, a causa dei numerosi pellegrini e ammalati che accorevano a venerare le reliquie del santo martire, Cleopatra decise di edificare una grande cappella.
Qualche anno dopo le morì anche il filgio e lo seppellì accanto alle reliquie di San Varo. Trascorsero altri sette anni nell'esercizio della carità e della povertà cristiana.
Alla sua morte venne sepolta accanto a san Varo e al figlio, nel tempio che aveva costruito.
E' ricordata il 19 ottobre.

(Fonte: Terra Santa - Fonte: Archivio Parrocchia)

Giaculatoria - Santa Cleopatra, pregate per noi.

*Sant'Etbino (Ethbin) di Kildare - Eremita e Abate (19 ottobre)

m. 600
Martirologio Romano: In Bretagna, Sant’Etbino, monaco, che fece vita solitaria.
Figlio di un nobile, rimasto orfano di padre, la madre lo affidò a San Samson (v.: 28 luglio) nell’Abbazia di Dol in Bretagna.
Dopo aver udito a Messa le parole evangeliche: «chi non rinuncia a ciò che possiede non può essere mio discepolo» decise di abbandonare il mondo ed essendo già diacono ne chiese il permesso al Vescovo.
Nel 554 partì per l’Abbazia di Taurac; scelse come Padre Spirituale San Gwenolé. Dopo che nel 556 i Franchi dispersero la comunità, si stabilì in Irlanda, presso Kildare, dove condusse vita eremitica per 20 anni in una foresta detta Nectensis. Morì nel 600.
Montreuil e Pont-Mort (Eure) affermano di possedere sue reliquie. Studiosi suggeriscono che la foresta sia Silvanectensis, ossia Senlis in Francia, non in Irlanda.

(Autore: Marco Faraldi - Fonte: Archivio Parrocchia)

Giaculatoria - Sant'Etbino di Kildare, pregate per noi.

*San Filippo Howard - Martire (19 ottobre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:

“Santi Quaranta Martiri di Inghilterra e Galles”
Londra, Inghilterra, 1557 - 1595
Primogenito del quarto duca di Norfolk, nacque a Londra nel 1557. Dopo l'ascesa al trono della regina Elisabetta I la famiglia Howard ripudiò la fede cattolica per aderire al nascente anglicanesimo, ma cadde in disgrazia quando il duca fu giustiziato per tradimento.
Filippo divenne pupillo di lord Burghley, primo ministro del regno, e nel 1576 conseguì a Cambridge la laurea in Lettere e fu introdotto a corte, ottenendo quattro anni dopo il titolo di conte di Arundel.
Appena dodicenne fu combinato il suo matrimonio con Anna, figlia di lord Tommaso Dacre. Trascurata per anni, la moglie divenne poi una delle persone decisive nella scelta di Filippo di convertirsi al cattolicesimo, avvenuta nel 1584.
Nel 1585 Filippo venne arrestato e rinchiuso per un tentativo di fuga dall'Inghilterra.
Nuovamente accusato di tradimento nel 1589, fu condannato a morte. La sentenza non fu però eseguita e l'imputato, che mai rinnegò la sua fede, rimase rinchiuso sino alla morte, giunta dopo una lunga malattia nel 1595. È stato canonizzato nel 1970. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, san Filippo Howard, martire, che, conte di Arundel e padre di famiglia, caduto in disgrazia presso la regina Elisabetta per avere abbracciato la fede cattolica, fu gettato in carcere, dove, mirabilmente dedito alla preghiera e alla penitenza, meritò di ricevere la corona del martirio consunto dagli stenti e dalle torture.
Filippo Howard, primogenito del quarto duca di Norfolk, dunque rampollo della più importante famiglia aristocratica d’Inghilterra, nacque a Londra nel 1557. Dopo l’ascesa al trono della regina Elisabetta I la famiglia Howard ripudiò la fede cattolica per ederire al nascente anglicanesimo. In tale contesto fu dunque cresciuto Filippo, affidato al tutore Giovanni Knox. La sua famiglia cadde
però in disgrazia quando il duca suo padre fu giustiziato per tradimento, coinvolto in un complotto volto a deporre la regina.
Il giovanissimo Filippo divenne pupillo di lord Burghley, primo ministro del regno, e nel 1576 conseguì a Cambridge la laurea in Lettere. Fu allora introdotto a corte, ove divenne uno dei prediletti dalla regina, ottenendo quattro anni dopo il titolo di conte di Arundel. Si creò quindi una certa reputazione conducendo una vita sociale assai sregolata, ma ciò non si rivelò che un lento cammino verso una svolta radicale nella sua esistenza.
Appena dodicenne fu combinato il suo matrimonio con Anna, figlia di lord Tommaso Dacre, ma egli per lunghi anni la trascurò completamente, finchè un giorno si riconciliò con lei e la moglie divenne addirittura una delle persone decisive nella sua scelta di conversione al cattolicesimo, avvenuta nel 1584. Tre anni prima, Filippo aveva assistito ad una conversazione tra Sant’Edmondo Campion ed alcuni teologi protestanti, notando come il gesuita avesse ragione sui tutti i vari punti oggetto di discussione.
Tra il 1584 ed il 1585 furono approvate in Inghilterra leggi ancor più severe contro i cattolici ed ai coniugi Howard non restò che lasciare l’isola, essendo giunto al punto in cui doveva “scegliere tra la sicura uccisione del corpo e l’evidente rischio per l’anima”, come ebbe a scrivere alla regina.
Tuttavia già l’abbandonare il paese senza il consenso regale costituiva di per sé un’offesa e perciò Filippo fu arrestato in mare e rinchiuso nella Torre di Londra. Accusato di alto tradimento, la pena si limitò però ad una multa di diecimila sterline e ad un ordine di custodia la cui durata era a discrezione della sovrana.
Nuovamente accusato di tradimento nel 1589, per aver pregato per il successo dell’Armata spagnola ed aver intrattenuto una corrispondenza epistolare con il cardinal Allen. Nonostante i giudici avessero asserito che la preghiera in se non costituisse un vero e proprio atto di tradimento, Filippo
fu comunque ritenuto colpevole e condannato a morte. La sentenza non fu però eseguita e l’imputato rimase rinchiuso nella Torre sino alla morte, giunta dopo una lunga malattia nel 1595.
Durante la prigionia aveva indirizzato una lettera assai commovente alla moglie, invocando ancora perdono per le offese recatele in passato: “Chiamo Dio a testimone di quanto io sia addolorato per non poter rimediare in questo mondo alle offese che ti ho arrecato; ma se a Dio fosse piaciuto concedermi una vita più lunga, senza dubbio sarei stato per te un buon marito [...] per sua grazia, come sono stato cattivo in precedenza [...] [Dio] sa che il passato è un chiodo nella mia coscienza.
Ti supplico per amore di Dio di farti coraggio qualsiasi cosa accada, e soprattutto di rendere grazie per quello che più piacerà a Dio e che sarà sua volontà far succedere”.
Ancor oggi è visibile l’incisione fatta dal Santo sulla parete della sua stanza nella torre Beauchamp.
Le sue reliquie sono custodite nella cattedrale di Arundel.
Filippo Howard fu beatificato nel 1929 in infine canonizzato da Papa Paolo VI nel 1970 comunemente al gruppo dei Quaranta Martiri di Inghilterra e Galles.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Filippo Howard, pregate per noi.

*Santa Fridesvida di Oxford - Badessa (19 ottobre)

m. Binsey, 735
Martirologio Romano: A Oxford in Inghilterra, santa Fridesvida, vergine, che, nata da stirpe regale e divenuta badessa, resse due cenobi, l’uno di monaci, l’altro di vergini consacrate.
Nasce nel Regno di Mercia: per tradizione ad Oxford, ma forse a Didcot. Era di nobili natali, nobiltà di stirpe come pure di sentimenti: il padre, Dida di Eynsham, contribuì molto alla diffusione del monachesimo nel suo Regno, facendo costruire molte chiese abbaziali.
In accordo con la moglie, Sefrida, affidò la piccola alle cure di una santa donna di nome Aelfgith che la crebbe al motto «Quello che non è Dio è nulla», inclinandola così in modo deciso alla vita spirituale. Il padre fece costruire per lei una chiesa con annesso Monastero dove la Santa prese il velo con 12 compagne.
Un’Abbazia attorno alla quale sorse un agglomerato urbano e dove lei si ritirò conducendo vita di carità e amore per la clausura.
La storia narra che il conte di Leicester, Aelfgar si invaghì di lei, per la sua bellezza, ma anche mirando alle sue ricchezze, e, respinto cortesemente, progettò di rapirla; scoperto il piano dalle spie del padre, la Santa dovette fuggire; con due compagne trovò una barca custodita da un giovane
che era un Angelo che con essa fece discendere alle tre il fiume Abingdon fino a giungere in una località imprecisata, ora identificata con Bampton (Oxfordshire) ora con Frilsham (Berkshire).
Vi rimase tre anni in un ricovero di porci, nutrendosi di ghiande e bevendo l’acqua sgorgata da una fonte apparsa per le sue preghiere.
Il pretendente non demordette e cominciò a cercarla mettendo infine sotto assedio Oxford. Qui due tradizioni si separano per riunirsi alla fine: una prima afferma che, sfondate le mura della città il principe fu colpito da cecità improvvisa, essendosi la Santa affidata alla protezione delle Sante Caterina e Cecilia.
Secondo altra versione, il popolo di Oxford, impaurito ne rivelò il rifugio e prima rimasero ciechi due messi del principe, poi lui stesso. Per questo motivo per secoli i Re d’Inghilterra considerarono a loro
proibito entrare in Oxford; sino ad Enrico III che ruppe la tradizione e molti attribuiscono a questo atto le sciagure che lo colpirono in seguito. Tornando alle vicende della Santa, il principe guarì per intercessione della stessa Fridesvita, dopo aver manifestato pentimento.
Di Santa Fridesvida si narrano anche altri miracoli, come quello di aver guarito un lebbroso con un casto bacio durante il suo ritorno ad Oxford. Tornata al suo convento, la santa raccolse  attorno a sé numerose giovani sassoni e monaci, rendendo il doppio monastero di una certa importanza sia per la vita religiosa che amministrativa, tanto che alcuni vi pongono le origini dell’Università di Oxford, di cui comunque la Santa è protettrice, come pure della città.
Morì nell'anno 735 nell’eremo di Binsey dove si era ritirata in ultimo.  Sepolta nella cappella del suo Monastero, poi trasformatasi nella Cattedrale di Oxford, dopo varie vicende e traslazioni il suo sacrario è stato definitivamente distrutto da protestanti calvinisti nel 1561.

(Autore: Marco Faraldi - Fonte: Archivio Parrocchia)

Giaculatoria - Santa Fridesvida di Oxford, pregate per noi.

*San Gioele - Profeta d’Israele (19 ottobre)

Gerusalemme, V secolo a.C.
È uno dei dodici profeti minori, le cui profezie sono contenute nel breve libro anticotestamentario che porta il suo nome e che è anche l'unica fonte da cui si può ricostruire qualche notizia che lo riguarda. Secondo gli studiosi, l'epoca della sua esistenza sarebbe l'inizio del V secolo a.C. Tutti i dati storici rilevabili all'interno del suo scritto, infatti, porterebbero a pensare che la sua opera si collochi durante l'occupazione persiana della Palestina.
Si suppone che fosse di stirpe sacerdotale, perché parla spesso di offerte sacre, di offerte nel Tempio e di sacerdoti, ai quali si rivolge con una certa autorità; esercitò a Gerusalemme, ai cui abitanti si rivolge nel libro. Alla base della profezia di Gioele vi è sicuramente una calamità naturale verificatasi proprio in quei tempi. Ma il profeta ne prevede una peggiore e invita alla alla penitenza. La seconda parte del libro è una descrizione del «giorno del Signore», cioè del suo supremo intervento nella storia, accompagnato da una straordinaria ed universale effusione del suo Spirito. Seguirà il Giudizio divino sulle genti e l'alba di un nuovo mondo. (Avvenire)
Martirologio Romano: Commemorazione di san Gioele, profeta, che annunciò il grande giorno del Signore e il mistero dell’effusione del suo Spirito su ogni uomo, che la maestà divina si degnò di compiere mirabilmente in Cristo nel giorno di Pentescoste.
Il nuovo ‘Martyrologium Romanum’ ha spostato al 19 ottobre la celebrazione liturgica di San Gioele, che nel passato nella Chiesa latina, era ricordato al 13 luglio.
È uno dei dodici profeti minori, le cui profezie sono contenute nel breve libro biblico che porta il suo nome e che è anche l’unica fonte da cui si può ricostruire qualche notizia che lo riguarda.
Gli studiosi, hanno supposto che l’epoca della sua esistenza sia l’inizio del V secolo a.C. perché nel suo libro non si fa menzione di notizie storiche certe, non parla delle grandi potenze dell’epoca come la Samaria, l’Assiria e Babilonia, quindi si pensa che fossero già tramontate.
Egli cita come nemici d’Israele, l’Egitto e l’Idumea, ma in particolare i Fenici ed i Filistei che vengono accusati di vendere i figli di Giuda (ebrei) come schiavi ai Greci.
Accenna alla dispersione del popolo ebraico fra le altre nazioni e la frammentazione del suo territorio; non nomina un re e le funzioni di guida, nei suoi scritti, sembrano affidate agli “anziani” ed ai sacerdoti.
Nomina il Tempio, però mancano le offerte per i sacrifici¸ quindi tutto fa pensare ad un’epoca di grande povertà e ad un Israele, ridotto di numero di abitanti e di importanza; perciò gli studiosi hanno pensato all’epoca dell’occupazione persiana della Palestina, nel V secolo a.C.
Si suppone che fosse di stirpe sacerdotale, perché parla spesso di offerte sacre, di offerte nel Tempio e di sacerdoti, ai quali si rivolge con una certa autorità; esercitò nel territorio di Giuda e più particolarmente a Gerusalemme, ai cui abitanti si rivolge nel libro.
Alla base della profezia di Gioele vi è sicuramente una calamità naturale verificatasi proprio in quei tempi; una enorme invasione di cavallette, come solo in Oriente se ne può vedere, aveva devastato i campi della Giudea, portando miseria e fame alla popolazione.
Il profeta interpretando questo flagello, come castigo inviato da Dio, ritiene che sia necessario invitare tutto il popolo a fare penitenza ed a chiedere il perdono dei propri peccati. Ma ciò non basta a placare l’ira di Dio e Gioele vede approssimarsi un altro flagello, più terribile del
precedente, descritto come un immenso esercito di soldati nemici, più numeroso delle cavallette.
È il “giorno del Signore” o il giorno della vendetta che si avvicina, il profeta incita di nuovo alla penitenza (2, 12-17) e finalmente l’ira di Dio si placa.
Il flagello viene scongiurato, la terra ritorna fertile ed Israele riconosce in Iahweh il suo Dio; questo riconoscimento è come una conversione gradita a Dio, che ricambia con la promessa di favori straordinari, assicurando che quando verrà il nuovo “giorno dei Signore”, egli farà giustizia di tutti i nemici d’Israele radunati nella valle di Giosafat e riunito il suo popolo disperso, abiterà eternamente in mezzo a loro. La seconda parte del libro è una grandiosa descrizione del “giorno del Signore”, cioè del suo supremo intervento nella storia, accompagnato da una straordinaria ed universale effusione del suo Spirito; seguirà il Giudizio divino sulle genti e l’alba di un nuovo mondo.
S. Pietro apostolo proclamò l’effusione dello Spirito, adempiuta nel giorno di Pentecoste, con la discesa dello Spirito Santo e con i prodigi che l’accompagnarono e la seguirono (Act. 2, 16-21).
La liturgia della Chiesa utilizza buona parte del libro di Gioele nei responsori, lezioni, antifone del Breviario e nelle letture della Messa, specie durante i periodi di penitenza come l’Avvento, la Quaresima, le Ceneri.
È ritenuto il profeta della Pentecoste. La Chiesa greca, l’onora il 19 ottobre, data a cui si è adeguata attualmente la Chiesa latina, uniformandone la celebrazione.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Archivio Parrocchia)

Giaculatoria - San Gioele, pregate per noi.

*Beato Giorgio (Jerzy) Popieluszko - Sacerdote e Martire (19 ottobre)

Okopy, Polonia, 14 settembre 1947 - Wloclawek, Polonia, 19 ottobre 1984
Don Jerzy Popieluszko nacque il 14 settembre 1947 a Okopy provincia di Bialystok. Fu ordinato sacerdote dal cardinal Stefan Wyszynsky il 28 maggio 1972 a Varsavia.
Destinato alla parrocchia di San Stanislao Kostka, oltre al lavoro parrocchiale, svolgeva il suo ministero tra gli operai organizzando conferenze, incontri di preghiera anche per medici ed infermieri, assisteva gli ammalati, i poveri, i perseguitati e insieme a Don Teofilo Bogucki eseguiva celebrazioni mensili di Sante Messe con predica per la Patria. Il 19 ottobre 1984 di ritorno da un servizio pastorale da Bydgosszcz a Gorsk vicino a Torun è stato rapito da tre funzionari del Ministero dell’Interno e assassinato. La sua tomba, che si trova accanto la chiesa di San Stanislao Kostka a Varsavia, è meta continua di pellegrinaggi di fedeli provenienti dalla Polonia e dal mondo intero.Il 14 giugno 1987 Papa Giovanni Paolo II ha pregato sulla tomba di Padre Jerzy.
Il 6 giugno 2010 è stato beatificato sotto il pontificato di Benedetto XVI. «Io mi sono offerto e non mi tiro indietro». Queste parole confermano che egli era cosciente della sua vocazione, e della sua particolare missione sacerdotale.
Forse egli presagiva che sarebbe morto martire.
È un martire che attraverso il suo cammino di sofferenza si rese sempre più simile a Cristo sofferente nella via della Croce.
La sua beatificazione avviene proprio nell’anno sacerdotale.
Questo ha per tutti i fedeli ed in modo particolare per i sacerdoti, un gran significato.
Il Signore ci dà questo giovane sacerdote come modello di fedeltà alla propria vocazione sino alla fine, sino alla morte.
Le sue parole «Io mi sono offerto e non mi tiro indietro», possono essere una massima per tutti i sacerdoti.
Durante il periodo della legge marziale (1981 - 1983) egli sosteneva ed incoraggiava i polacchi attraverso le omelie durante la celebrazione delle messe per la Patria.
Le omelie e le prediche di Done Popiełuszko erano regolarmente trasmesse da Radio Free Europe, che gli diede una certa popolarità anche all'estero.
Fu inizialmente minacciato e invitato al silenzio da parte del ministero dell'interno polacco, e il 13 ottobre 1984 fu coinvolto in un incidente stradale dal quale, però uscì illeso.
Il 19 ottobre 1984, di ritorno da un servizio pastorale, fu rapito e ucciso da parte di tre funzionari del ministero dell'interno, e il suo corpo fu ritrovato il 30 ottobre nelle acque della Vistola vicino a Włocławek.
La notizia dell'assassinio causò disordini in Polonia, e gli autori dell'omicidio - i capitani Grzegorz Piotrowski, Leszek Pekala, Waldemar Chmielewski ed il colonnello Adam Petruszka - furono giudicati colpevoli e condannati a 25 anni di carcere, ma furono rilasciati a seguito di amnistia qualche anno dopo.
Ai funerali parteciparono più di 500.000 persone, compreso il leader di Solidarność Lech Wałęsa. La Chiesa Cattolica iniziò il processo di beatificazione nel 1997, ottenendo lo stato di Servo di Dio.
La sua tomba è meta di continui pellegrinaggi, dalla Polonia e dall'estero; il 14 giugno 1987 pregò sulla sua tomba anche papa Giovanni Paolo Il 19 dicembre 2009 Papa Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a promulgare il decreto riguardante "il martirio del Servo di Dio Giorgio Popiełuszko, sacerdote diocesano, ucciso in odio alla fede il 20 ottobre 1984 nei pressi di Włocławek (Polonia)".
La solenne messa di beatificazione di don Jerzy Popiełuszko si è tenuta a Varsavia domenica 6 giugno 2010 nella piazza intitolata al Maresciallo Pilsudski.
Omelia di Mons. Angelo Amato per la Beatificazione
Eminenze, Eccellenze, autorità civili e militari, sacerdoti, consacrati e consacrate, cari fedeli, ho visitato più volte il museo a Varsavia che ricorda il nostro Beato martire Jerzy Popieluszko ed tutte le volte la commozione è stata grande fino alle lacrime. Il volto orrendamente sfigurato di questo mite sacerdote somigliava a quello flagellato e umiliato del Crocifisso, senza più bellezza e decoro.
La bocca insanguinata di quella faccia martoriata sembrava ripetere le parole del Servo del Signore: «Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50, 6).
Che cosa provocò un simile scempio? Padre Jerzy era forse un delinquente, un omicida, un terrorista? Niente di tutto questo. Padre Jerzy era semplicemente un leale sacerdote cattolico, che difendeva la sua dignità di ministro di Cristo e della Chiesa e la libertà di tutti coloro, che, come lui, erano oppressi e umiliati. Ma religione, vangelo, dignità della persona umana, libertà non erano concetti in sintonia con l’ideologia marxista.
Per questo, contro di lui si scatenò la furia omicida del grande mentitore, nemico di Dio e oppressore dell’umanità, di colui che odia la verità e diffonde la menzogna. Come talvolta capita nella storia, in quegli anni, in gran parte dell’Europa, la luce della mente fu offuscata dalle tenebre e il bene sostituito dal male.
Coscienze profetiche del secolo scorso avevano già avvertito che l’impero del male avrebbe prodotto solo “carrube” amare e indigeste (Lc 15,16), come il cibo dei porci col quale voleva nutrirsi il figlio dissoluto, che aveva abbandonato la casa del padre.
Padre Jerzy non si rassegnò a vivere in questo campo di morte e, con le sole armi spirituali della verità, della giustizia e della carità, cercò di rivendicare la libertà della sua coscienza di cittadino e di sacerdote. Ma l’ideologia malefica non sopportava lo splendore della verità e della giustizia. Per questo l’inerme sacerdote fu spiato, perseguitato, catturato, torturato e, come ultimo scempio, incaprettato e, ancora agonizzante, buttato in acqua. I suoi carnefici, che non rispettavano la vita, non rispettarono nemmeno la morte. Lo abbandonarono, come si abbandona la carcassa di un animale. Fu ritrovato solo dopo dieci giorni.
Non basterebbero i pianti di tutte le mamme polacche per placare un simile strazio. Di fronte alle torture dei carnefici, Padre Jerzy si confermò coraggioso martire di Cristo: «Maltrattato – dice il profeta Isaia – , si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come un agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo [...]. Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l’iniquità del suo popolo fu percosso a morte» (Is 53,7-8).
Il sacrificio del giovane prete non fu una sconfitta. I suoi carnefici non potevano uccidere la Verità. La tragica morte del nostro martire, infatti, fu l’inizio di una generale riconversione dei cuori al Vangelo. La morte dei martiri è infatti il seme dei cristiani.
Oggi la beatificazione di Padre Popieluszko costituisce una memorabile giornata di esultanza per la vostra nazione. Padre Popieluszko viene consegnato glorificato tra le braccia della madre Chiesa,
con lo stesso gesto con cui il profeta Elia consegnò alla mamma il bambino risuscitato: «Guarda! Tuo figlio vive» (1Re 17,23).
Con la glorificazione del Beato Jerzy Popieluszko il Santo Padre Benedetto XVI dice alla Chiesa in Polonia: «Ecco, il tuo figlio vive». È un grande dono a una grande nazione, il cui libro di santità si arricchisce di un’altra pagina esemplare. Oggi, la Chiesa polacca può esclamare col Salmista:
«Cantate inni al Signore, o suoi fedeli, rendete grazie al suo santo nome. Ascolta, Signore, abbi misericordia, Signore, vieni in mio aiuto.
Hai mutato il mio lamento in danza, Signore, mio Dio, ti loderò per sempre» (dal Salmo 29).
Se la memoria dei carnefici rimane in eterna riprovazione, la memoria del nostro Beato splende in eterna benedizione per tutti noi.
Chi diede al nostro martire la forza eroica del martirio? Nella seconda lettura dell’odierna liturgia della parola, San Paolo ci illumina sulla potenza della grazia, che trasforma in eroi gli araldi fedeli del Vangelo. Come Paolo, anche il Beato Jerzy Popieluszko poteva dire: «Fratelli, il Vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; infatti in non l’ho ricevuto né imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1,11-12). Gesù scelse il giovane Jerzy, fin dal seno di sua madre, e lo chiamò con la sua grazia al sacerdozio, affinché potesse annunziare la sua parola di verità e di salvezza ai “neopagani” del suo tempo (cf. Gal 1,16).
Il Signore Gesù, presente nell’Eucaristia, era la sua forza. Negli anni 1966-68, il seminarista Jerzy Popieluszko fece il servizio militare, in mezzo a molte sofferenze, umiliazioni e limitazioni della sua libertà religiosa. Gli era impedito perfino di assistere alla Messa quotidiana e di accostarsi alla comunione.
In una sua lettera inviata a Mons. Czeslaw Mietek, suo padre spirituale nel Seminario di Varsavia, il giovane seminarista scriveva: «Ieri con il pretesto di versare i soldi in banca sono andato in città. Sono andato in chiesa e per la prima volta dopo un mese ho ricevuto l’Eucaristia».
In mezzo alla persecuzione religiosa il conforto dell’Eucaristia era il pane divino che lo nutriva nella sua testimonianza di fede. Eucaristico fu anche il suo ultimo gesto da vivo, la celebrazione della Santa Messa, il 19 ottobre 1984. In quell’occasione il nostro Martire esortò il popolo dei lavoratori non all’odio e alla vendetta, ma alla concordia e alla pace: «Preghiamo – egli disse – per liberarci dal timore, dalla paura, ma soprattutto dal desiderio di vendetta e di violenza».
È questo il messaggio che il nostro beato Martire ci consegna. Il cristiano è il testimone del bene e del vero. Il cristiano vive come “beatitudine” la povertà, l’afflizione, la pacificazione e anche la stessa persecuzione, secondo la parola di Gesù: «Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,10-12).
Questo fu vissuto alla lettera dal nostro Beato, violato nella sua coscienza sacerdotale e perseguitato a morte. Ma Gesù non abbandonò nelle mani del male e della morte questo suo figlio prediletto. E come fece con il figlio della vedova di Nain (Lc 7,11-17), anche per questo suo figlio prediletto, Gesù ha preparato la sua glorificazione in cielo e ora anche sulla terra. Alla Chiesa polacca, e alla Chiesa tutta intera, oggi il Signore dice di non piangere, perchè questo suo figlio è vivo nella gloria dei cieli.
Gesù è vita e risurrezione. Egli annienta la morte e la corruzione. Egli è colui nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo.
Cirillo d’Alessandria dice che Cristo «ha avuto pietà della donna e, per fermare le sue lacrime, ha comandato: “non piangere”. Immediatamente fu allontanata la causa del suo pianto».
La compassione di Gesù per questa madre addolorata in realtà è la compassione che Nostro Signore ha nei confronti della sua Chiesa, la madre santa dei battezzati, quando piange i suoi figli sospinti alla morte dai nemici del bene. La madre Chiesa si affligge per loro e implora il Figlio di Dio di assisterli, anzi di risuscitarli.
Il vangelo odierno si conclude dicendo che la fama di questi fatti «si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione» (Lc 7,17). Oggi, anche la fama della beatificazione di Padre Popieluszko si diffonde come profumo di incenso odoroso dalla Polonia per tutta la Chiesa e per tutto il mondo.
Oggi, la santa madre Chiesa propone, a conclusione di questo anno sacerdotale, un sacerdote non solo esemplare, ma testimone eroico della bellezza e della verità del Vangelo di Gesù.
La sua fede era contagiosa: «Spessissimo – nota un testimone – i suoi incontri con la gente si trasformavano in un’occasione di preghiera. Cercava di vedere le sue cose con gli occhi della fede».
La sua fede era incrollabile e la irradiava nell’ambiente e nelle persone che incontrava: «La fede – aggiunge mons. Miziolek – in lui non era un complemento, ma la misura di tutto il suo agire».
È commovente la testimonianza della mamma del nostro Beato, la signora Marianna Popieluszko: «Mio figlio don Jerzy fu per tutta la vita un uomo profondamente credente. Quando era sotto le armi recitava il rosario nonostante il divieto del comandante. Non lo udii mai lamentarsi del Signore. Si sforzava di accogliere i dispiaceri subiti con spirito di fede, per carità verso il Signore Iddio».
Padre Popieluszko, come il giusto della Scrittura, viveva di fede e di carità: «Nella vita del Servo di Dio – afferma un testimone – non ebbi modo di osservare antipatia per le persone o odio per i
persecutori. Nelle sue prediche esortava alla concordia. Il suo motto erano le parole di San Paolo: “Vinci il male con il bene”».
Lo stesso Beato Martire in un’omelia del marzo del 1983 così esortava i fedeli: «Mostriamoci forti nella carità pregando per i fratelli che sbagliano; non condannando nessuno, ma stigmatizzando e smascherando il male. Imploriamo con le parole che Cristo pronunciò sulla croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). E rendici, o Cristo, più sensibili all’azione dell’amore piuttosto che all’azione dell’odio».
Egli era consapevole che il male della dittatura traeva le sue origini da satana, per questo esortava a vincere il male con il bene e con la grazia del Signore: «Può vincere il male solo chi è pieno di bene».
Diceva: «Al cristiano non può bastare solo la condanna del male, della menzogna, della viltà, della violenza, dell’odio, dell’oppressione; ma egli stesso deve essere autentico testimone, portavoce e difensore della giustizia, del bene, della verità, della libertà e dell’amore».
La violenza del male è debolezza e sterilità. Il bene invece vince e si diffonde con la forza della sua dolcezza, della sua compassione, della sua carità.
I regimi passano come temporali d’estate lasciando solo macerie, ma la Chiesa e i suoi figli restano per beneficare l’umanità con il dono della carità senza limiti. I cristiani sono sale della terra e luce del mondo: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,16).
Il 14 giugno 1987 il venerabile servo di Dio Giovanni Paolo II pregò a lungo sulla tomba di padre Jerzy. Depose dei fiori e in silenzio abbracciò e baciò la lastra tombale. Il Papa vedeva in questo sacerdote un degno figlio della Polonia.
Cari fedeli, il messaggio eterno che deve far battere il nostro cuore oggi, di fronte alle rinnovate persecuzioni contro il Vangelo e la Chiesa, è quello che il Santo Padre Benedetto XVI ripropone come sintesi della testimonianza martiriale del Beato Jerzy Popieluszko, che – dice il Papa - fu sacerdote e martire, fedele e instancabile testimone di Cristo: egli vinse il male col bene fino all’effusione del sangue.
Amen.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi - Note: www.popieluszko.net.pl)
Giaculatoria - Beato Giorgio (Jerzy) Popieluszko, pregate per noi.

*San Giovanni de la Lande - Martire (19 ottobre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:

"Santi Martiri Canadesi” (Giovanni de Brébeuf, Isacco Jogues e compagni) Martiri
+ Ossenon, U.S.A., 19 ottobre 1646
Jean de la Lande nacque a Dieppe nella regione della Normandia in Francia.
Entrò tra i coadiutori della Società di Gesù, laici che si ponevano gratuitamente al servizio dei Gesuiti in cambio del loro sostentamento.
Fu inviato missionario nella cosiddetta “Nouvelle-France”, nel Nord-America, per evangelizzare le popolazioni indigene, ben conscio che il desiderio di servire Dio lo portasse in un paese in cui era ben sicuro di doversi aspettare la morte.
Il 24 Settembre 1646 lasciò Trois-Rivieres con il Padre Isaac Jogues ed alcuni indiani diretti in
Uronia in missione di pace.
Ad Ossenon, odierna Auriesville nello stato di New York, vennero però ricevuti con diffidenza dagli Irochesi, che reputavano la religione dei “Manti Neri” quale responsabile delle malattie che avevano decimato il loro villaggio.
Padre Jogues venne ucciso con un colpo alla nuca e decapitato il 18 Ottobre 1646 e Giovanni de la Lande subì la stessa sorte il giorno seguente.
Furoni in tutto otto i martiri gesuiti che effusero con il loro sangue la terra nordamericana, beatificati nel 1925 e canonizzati nel 1930 da Papa Pio XI.
Mentre la commemorazione del singolo San Giovanni de la Lande ricorre in data odierna nell’anniversario del suo martirio, la festa collettiva di questo gruppo di martiri è fissata dal calendario liturgico al 19 ottobre.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni de la Lande, pregate per noi.

*Beato Giovanni Januari - Mercedario (19 ottobre)

Cavaliere laico dell'Ordine Mercedario, il Beato Giovanni Januari, fu grande difensore della fede cattolica.
Il suo coraggio nelle lotte contro i saraceni fu ammirevole e le sue virtù non si smentirono mai.
Terminò i suoi giorni nel convento di Montflorite in Aragona (Spagna), pensando unicamente al Signore nel ritiro e nella preghiera.
L'Ordine lo festeggia il 19 ottobre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Janu, pregate per noi.

*Santi Giusto, Flaviano e Compagni - Monaci e Martiri (19 ottobre)

† Oulx, Val di Susa (To), 906 circa
I Santi Giusto e Flaviano sembrano essere gli unici martiri storicamente accertati della Val di Susa, in quanto oltre a loro vi sono solo dei leggendari soldati della Legione Tebea quali Sant’Jorio e Sant’Antonino.
Gli storici collocano il martirio di Giusto e Flaviano nel 575 per mano dei Longobardi oppure nel 906 circa ad opera dei Saraceni, anche se questa seconda ipotesi sembra essere la più probabile.
Ormai anziani monaci presso la grande abbazia della Novalesa, non scapparono a Torino con l’abate e gli altri confratelli, ma preferirono restare a prestare soccorso ai viandanti ed agli indigeni, oppressi dalle violente incursioni saracene provenienti dalla Provenza.

Una prima semplice versione della loro vicenda vuole che trovarono la morte presso Oulx in un sito poi denominati “Pian dei martiri”.
Una narrazione più elaborata narra che i due compagni proseguirono invece sino alla valle di Bardonecchia, ove fecero sgorgare una fonte miracolosa nella grotta che avevano scelto come rifugio presso i monti Beaulard.
Una apparizione angelica li avvertì però di una sanguinosa persecuzione cristiana ad Oulx, ove decisero di far dunque ritorno per andare anch’essi in contro al
martirio. Nel 1027, in seguito al miracoloso ritrovamento del corpo di San Giusto, il marchese Olderico Manfredi fece appositamente edificare in Susa una nuova chiesa romanica per collocarvi tali reliquie.
A tale chiesa dedicata al martire Giusto fu affiancato due anni dopo una grande abbazia benedettina, che nel 1581 passo poi ai Canonici Lateranensi.
Nel 1772, con l’istituzione della nuova diocesi piemontese di Susa, la chiesa abbaziale divenne cattedrale e conseguentemente San Giusto divenne il patrono principale, ancor oggi festeggiato il 19 ottobre.
E’ invece purtroppo andato perduto il culto liturgico di San Flaviano, assai probabilmente a causa dell’assenza di reliquie.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santi Giusto, Flaviano e Compagni, pregate per noi.

*San Grato di Oloron - Vescovo (19 ottobre)

† dopo il 506
Martirologio Romano: A Oloron sul versante francese dei Pirenei in Aquitania, ora in Francia, commemorazione di san Grato, vescovo, che, al tempo di Alarico, re ariano dei Goti, partecipò al Concilio di Agde per riformare la Chiesa in questa regione della Francia.
Oléron (o Oloron), piccola città situata nei bassi Pirenei, alla confluenza del Gave di Osseau e del Gave di Aspe, fa parte, dopo il concordato del 1802, della diocesi di Bayonne.
Ma è una città molto antica, che esisteva già sotto l’impero romano, e che fu, almeno dall’inizio del secolo VI, sede di una diocesi che durò fino alla Rivoluzione francese.
Grato fu il primo vescovo di Oléron conosciuto, al principio del secolo VI, periodo difficile per la Chiesa in questa parte della Gallia, che formava il regno visigotico dell’ariano Alarico, il quale, tuttavia, autorizzò la convocazione di un concilio a Agde, nel 506.
A questo concilio parteciparono o si fecero rappresentare trentaquattro vescovi, tra cui Grato: questo è tutto quello che sappiamo di lui.
I suoi resti furono conservati nella cattedrale di Nostra Signora di Oléron dove fu onorato come patrono della diocesi. Nel secolo XVI, quando la Riforma si introdusse nei paesi del Béarn, sotto l’influenza di Margherita di Valois, regina di Navarca, la sede di San Grato fu occupata, dal 1542 al 1599, da un vescovo riformatore, Gerardo le Roux, o Roussel e le reliquie di san Grato furono al sicuro in Spagna, a Jacca.
Tornarono a Oléron dopo il 1620, quando il re Luigi XIII restituì ai cattolici le chiese occupate dai riformati. Nel 1710 il vescovo di Oléron, Giuseppe de Révol, procedette alta ricognizione canonica delle reliquie di Grato che erano state deposte dietro l’altare maggiore, ma dovette lottare per dieci anni contro il suo capitolo, perché aveva condannato sei antifone al vecchio Ufficio di San Grato, che i canonici, custodi delle tradizioni della loro chiesa, volevano conservare.
Ebbe infine causa vinta e pubblicò nel 1711 un nuovo Ufficio proprio, con inni composti da Santeuil.
Oggi la festa di San Grato ha luogo a Oléron il 19 ottobre.

(Autore: Jean Evenou - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Grato di Oloron, pregate per noi.

*Santa Laura di Cordova - Martire (19 ottobre)

Sec. IX
Sarebbe stata una monaca del monastero di Santa Maria di Cuteclara, vicino Cordova in Spagna, di cui nell'856 divenne badessa.
Nel «Martyrologium hispanicum» si narra che durante l'occupazione musulmana rifiutò di abiurare la propria fede cristiana: condotta davanti ad un giudice islamico, fu processata e condannata a morire in un bagno di pece bollente.
Dopo tre ore di atroci dolori, diede la sua anima a Dio.
Era l'anno 864. A dispetto delle scarne notizie che si sanno, il culto per la martire Laura ebbe grande espansione e il suo nome è molto diffuso in tutta Europa.
Molti studiosi fanno derivare Laura dal latino «laurus», cioè alloro, pianta sacra ad Apollo e simbolo di sapienza e gloria. Ai tempi dei romani comunque era più facile trovare Laurentia che Laura. Il significato lo si fa risalire al serto di alloro con cui venivano incoronati i vincitori di varie gare. Nei secoli successivi, con il serto sulla testa, si sono raffigurati i poeti e i sapienti. Ancora oggi chi completa il ciclo di studi è detto «laureato». (Avvenire)
Etimologia: Laura = alloro, dal latino. Derivati e diminutivi: Laurina, Loretta, Orietta, Lo
Emblema: Palma
Santa Laura sarebbe stata una monaca del monastero di Santa Maria di Cuteclara, nei pressi di Cordova in Spagna, di cui nell’856 divenne badessa succedendo a Sant'Aurea.
Nel “Martyrologium hispanicum” si narra, con poca certezza, che durante l’occupazione musulmana rifiutò di abiurare la propria fede cristiana; condotta davanti ad un giudice islamico, fu processata e condannata a morire in un bagno di pece bollente, dove diede la sua anima a Dio dopo tre ore di atroci dolori, era l’anno 864.
A dispetto delle scarne notizie che si sanno, il culto per la martire Laura ebbe grande espansione e il suo nome è molto diffuso in tutta Europa.
Molti studiosi fanno derivare Laura dal latino ‘laurus’, alloro, pianta sacra ad Apollo e simbolo di sapienza e gloria. Ai tempi dei romani comunque era più facile trovare Laurentia che Laura; il significato lo si fa risalire al serto di alloro con cui venivano incoronati i vincitori di varie gare; nei secoli successivi, con il serto sulla testa, si sono raffigurati i poeti ed i sapienti, del resto ancora oggi chi completa il ciclo degli studi è detto laureato.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Laura di Cordova, pregate per noi.

*Santi Luca Alonso Gorda e Matteo Kohioye - Martiri Domenicani (19 ottobre)

Scheda del gruppo a cui appartengono:
“Santi Lorenzo Ruiz di Manila e 15 compagni”

Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, Santi martiri Luca Alfonso Gorda, sacerdote, e Matteo Kohioye, religioso, entrambi dell’Ordine dei Predicatori, dei quali il primo fu coraggioso ministro del Vangelo prima nelle isole Filippine e poi per dieci anni in Giappone, mentre l’altro, di diciotto anni, fu suo compagno nell’annunciare e testimoniare la fede.
I Santi Domenico Ibàňez, Giacomo Kyushei Tomonaga, Domenicani, Lorenzo Ruiz, laico, e 14 compagni formano un gruppo di martiri in Giappone del 1633-1637 a Nagasaki dopo quello dei 205 martiri di Omura-Nagasaki del 1617-1632, beatificati da Pio IX nel 1867.
Il gruppo dei beatificati da Papa Giovanni Paolo II, il 18 febbraio 1981 a Manila, è composto di 13 Domenicani e di 3 laici. Ma per comprendere meglio la situazione della Chiesa in Giappone a quel tempo dobbiamo rintracciare alcuni aspetti storici.
Nella storia ecclesiastica del Giappone si distinguono tre date importanti: 1549, 1600 e 1640. Nel 1549, San Francesco Saverio arrivò in Giappone; nel 1600, lo Shogun (capo militare) Tokugawa Yeyasu inaugurò la dinastia legata al suo nome; nel 1640, il Giappone chiuse le sue porte al mondo occidentale, isolandosi per due secoli.
Dal 1549 al 1614, in un clima relativamente favorevole, San Francesco Saverio, al quale subentrarono i suoi confratelli Gesuiti e più tardi Francescani, Domenicani e Agostiniani, costruì una comunità cristiana fiorente.
Nel 1600, in Giappone erano già più di 300.000 cristiani, tra i quali diversi membri delle classi influenti. A differenza delle Filippine, però, il cristianesimo giapponese nella prima metà del secolo XVII, sparì quasi completamente, sommerso da una violenta persecuzione.
Questa coincise con gli anni più gloriosi dello shogunado, un regime frutto di vari fattori di ordine religioso, politico e sociale.
Da tempi immemorabili la religione originaria del Giappone era lo Shintoismo, basato sul culto degli spiriti legati alle forze della natura e sul concetto dell'imperatore come discendente dalla Dea solare Amaterasu, come simbolo visibile e permanente. Quando nel secolo VI entrarono dalla Cina il Buddismo ed il Confucianesimo, mettendo profonde radici, lo Shintoismo e il prestigio dell'imperatore decaddero in modo considerevole. Il risultato di questo declino fu il feudalismo, mentre all'imperatore rimaneva solo un ruolo di carattere morale e religioso.
Il potere effettivo passò ad un dittatore della classe guerriera, chiamato Shogun che, a sua volta, vide la sua autorità diluirsi tra diversi signori feudali chiamati daimyò, padroni assoluti dei loro vasti territori. Al loro servizio stavano i samurai e, al livello sociale inferiore, i poveri, privi di diritti umani: contadini, artigiani, commercianti ed operai. I daimyò si dedicarono spesso alla guerra tra di loro.
Tale situazione ebbe curiosamente dei vantaggi per l'evangelizzazione all'arrivo di San Francesco Saverio e degli altri missionari. Espulsi da un feudo, i cristiani potevano fuggire in un'altro. Nell'ultimo quarto del secolo XVI due Shogun aprirono la strada per un movimento di unificazione, Oda Nobunga (1568–1582), nemico dei buddisti e simpatizzante per il cristianesimo, e poi Toyotomi Hideyoshi (1582–1598).
In modo quasi inspiegabile quest'ultimo divenne persecutore del cristianesimo e ordinò l'esecuzione dei 26 Protomartiri di Nagasaki (S. Paolo Miki e compagni). Alla morte dello Shogun Hideyoshi, il cristianesimo poté respirare di nuovo tra speranze e timori.
La vittoria di Sekigahara, nel 1600, diede il potere e lo shogunado a Toku¬gawa Yeyasu
(1600–1616), al quale successero il figlio Hidetada (1616–1622) e il nipote Yemitsu (1622–1651), e poi una lunga serie di discendenti fino al 1868. Yeyasu conseguì l'unificazione nazionale e diede al paese una solida struttura legale ed amministrativa. Il Giappone iniziava ad essere governato da un'autorità centrale senza eliminare la relativa autonomia feudale dei daimyò.
La politica dei Tokugawa mostrò per questo sempre una certa diffidenza riguardo alla lealtà dei daimyò, sottomessi ma mai del tutto domati. Tale sospetto aumentava con la presenza di commercianti spagnoli e di religiosi cattolici, accusati dagli olandesi di essere la punta avanzata della conquista e dell'insurrezione. Cosa in realtà mai avvenuta.
Nel 1614 Yeyasu, giudicando la fede di tutti i suoi sudditi sulla base del buddismo e attorniandosi poi di ministri gelosamente confuciani, emise l'editto di persecuzione generale. Hidetada e Yemitsu intensificavano l'avversione al cristianesimo, come dimostra la cruenta persecuzione, in particolare nei riguardi dei martiri della presente Canonizzazione, la prima, insieme al primo Santo delle Filippine, Lorenzo Ruiz.
Prima di presentare le biografie di questi martiri immolati nel periodo 1633–1637, dobbiamo rispondere alla questione del ritardo nella beatificazione. La risposta è semplice.
Le inchieste processuali tenute nel giro immediato dei fatti con due processi ordinari a Manila e a Macao (1636–1637) sul martirio di nove sacerdoti domenicani andarono smarrite 30 anni dopo e furono ritrovate solo all'inizio del secolo XX in copia autentica negli archivi domenicani di Manila. Arricchiti con ampia documentazione di tutto il gruppo, resero possibile la ripresa della causa, preparando nel 1977–1978 la «Posizione» storica sul martirio, che venne pubblicata nel 1979 e posta alla base degli esami storico-teologici della Congregazione dei Santi tra i1 30 ottobre 1979 ed il 1° luglio 1980.
Luca dello Spirito Santo, Sacerdote Domenicano
Il Santo Luca dello Spirito Santo nacque a Carracedo (Zamora, diocesi di Astorga), Spagna, il 18 ottobre 1594.
Diventò Domenicano nel 1610, emettendo i voti il 2 giugno 1611. Nel 1618 si trasferì nella Provincia del Rosario nelle Filippine. Da Manila fu mandato come missionario nella Provincia di Cagayan. Dopo fu professore a Manila al Collegio S. Tommaso. Nel 1623 partì per il Giappone con P. Domenico de Erquicia e altri.
Per 10 anni svolse l'apostolato tra i Giapponesi, spingendosi fino al nord dell'Isola principale di Honshu. L'8 settembre 1633 fu catturato e portato a Nagasaki.
Dopo ripetuti tentativi di farlo apostatare fu imprigionato con altri missionari Domenicani e Gesuiti: Il 18 ottobre 1633, vestito da Domenicano, andò sottoposto alle torture della forca e fossa e morì il 19 ottobre 1633. Il suo corpo fu bruciato.
Matteo Kohioye Del Rosario, Fratello Cooperatore Domenicano
Il Santo Matteo Kohioye nacque ad Arima (Kyushu) in Giappone nel 1615. Dal 1632 accompagnò il P. Luca dello Spirito Santo nel suo apostolato.
Nel 1633 fu imprigionato a Osaka insieme a P. Luca. Questi aveva voluto mandarlo via prima che venissero i persecutori, ma Matteo accettò volontariamente di morire per Cristo. Nella prigione di Osaka gli fecero molte offerte per fargli cambiare idea, però non volle rinnegare la fede.
Perciò fu trasferito a Nagasaki, dove fu sottoposto alle torture della forca e fossa il 18 ottobre 1633, insieme a P. Luca. Morì lo stesso giorno a soli 18 anni. Il 18 febbraio 1981, Papa Giovanni Paolo II ha beatificato i martiri a Manila e, il 18 ottobre 1987, li ha canonizzati.
(Autore: Andreas Resch - I Santi di Johann Paolo II. 1982- 2004)
Giaculatoria - Santi Luca Alonso Gorda e Matteo Kohioye, pregate per noi.

*San Lupo di Soissons - Vescovo (19 ottobre)

Sec. VI
Emblema: Bastone pastorale
Due giorni or sono, parlando di San Rodolfo, Vescovo di Gubbio, non potemmo fare a meno d'accennare a quel lupo di Gubbio famosissimo per il capitolo a lui dedicato nei Fioretti di San Francesco. Quel lupo ammansito, che dopo l'ammonimento di San Francesco visse fino alla morte in modo esemplare, come un vero convertito, non potrebbe davvero aspirare a nessun titolo di santità.
Nel catalogo dei Santi è presente anche il nome di Lupo e viene ripetuto molte volte, mentre quello di un altro animale feroce, Orso, ricorre sei volte, con in più i diminutivi di Ursino, Ursicino e Orsola. Quasi per contrasto, nove dei Santi col nome di Lupo sono Vescovi, cioè pastori, e quindi nemici dei veri lupi minaccianti i greggi dei fedeli. Il Vangelo mette in guardia dai lupi rivestiti con la pelle d'agnello, ma evidentemente i vari Lupi di cui parleremo oggi non avevano pelle d'agnello e zanne di lupo, se alla fine della loro opera pastorale furono ritenuti degni dell'aureola.
Il primo Lupo che s'incontra nel Calendario, il 27 gennaio, è l'ottavo Vescovo di Chalon-sur-Saône, al tempo di Gregorio Magno, che gli indirizzò una lettera, nel 601. Passato l'inverno, nel maggio abbiamo San Lupo di Limoges e nel luglio, si incontra un terzo Lupo, Santo Vescovo di Troyes nei tempestosi tempi di Attila, dal quale fu trascinato fuor dalla sua diocesi. Morì eremita sopra una montagna. Di San Lupo, Vescovo di Angers, ricordato il 17 ottobre, si sa soltanto che, per umiltà, non volle essere sepolto nella cattedrale, e preferì il cimitero dei poveri, tra i quali era vissuto.
Il 25 ottobre, ecco un Lupo Vescovo di Bayeux e il 1° settembre è la volta di San Lupo Vescovo di Sens, anch'egli esiliato al tempo del Re Clotario e morto fuori della sua diocesi, nel 623.
Il 25 settembre, la città di Lione festeggia il suo San Lupo Vescovo, morto nel 542.
Quello di oggi, anch'egli vissuto in Francia, come tutti gli altri, fu nipote del grande San Remigio, che lo ricordò nel testamento, come suo erede. Anch'egli ebbe giurisdizione episcopale, a Soissons. Mori verso il 535.
L'ultimo dell'anno sarà un Lupo italiano, anch'egli Vescovo, a Verona, dove viene ancora onorato il 2 dicembre, per quanto non si ricordi più nulla della sua vita. Si sa che fu un lupo Santo, un pastore degno. E il suo nome, tutt'altro che promettente, è l'unica testimonianza di una presenza luminosa nelle oscure vicende italiane del VI secolo, in piena epoca barbarica, quando i Vescovi dovettero lottare con l'energia dei lupi per difendere i loro greggi assaliti da ogni lato, dilaniati dalle guerre e dispersi dalle invasioni.
(Fonte: Archivio Parrocchia)
Giaculatoria - San Lupo di Soissons, pregate per noi.

*Santi Martiri Canadesi (Giovanni de Brébeuf, Isacco Jogues e Compagni) - Martiri (19 ottobre)
sec. XVII
I sacerdoti Antonio Daniel, Giovanni De Brébeuf, Gabriele Lalement, Carlo Garnier, Natale Chabanel, furono martirizzati il primo nel 1648 e gli altri nel 1649, nell'attuale Canada, abitato dagli Uroni; il fratello coadiutore Renato Goupil nel 1642, il sacerdote Isacco Jogues e l'altro fratello coadiutore Giovanni de La Lande il 18 ottobre del 1647 preso Auriesville, nell'attuale stato di New York, abitato allora dagli Irochesi.
Erano tutti della Compagnia di Gesù. (Mess. Rom.)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Santi Giovanni de Brébeuf, Isacco Jogues, sacerdoti, e compagni, martiri, della Compagnia di   Gesù: in questo giorno San Giovanni de la Lande, religioso, fu ucciso da alcuni pagani del luogo  nel villaggio di Ossernenon, oggi in Canada, dove, pochi anni prima,  anche San Renato Goupil aveva conseguito la palma del martirio.
In un’unica commemorazione si celebrano in questo giorno anche i loro confratelli, i Santi Gabriele Lalemant, Antonio Daniel, Carlo Garnier e Natale Chabanel, che in territorio canadese, in giorni diversi morirono martiri, dopo molte fatiche compiute nella missione presso gli Uroni per annunciare il Vangelo di Cristo alle popolazioni di questa regione.
Nel XVII secolo, tra il 1642 ed il 1649, otto missionari di origine francese subirono il martirio nel Nord America: sei sacerdoti Gesuiti e due coadiutori, laici che si mettevano gratuitamente al servizio dei Gesuiti in cambio del loro sostentamento.
I primi tre furono uccisi dagli Irochesi ad Ossenon, odierna Auriesville, nei pressi di Albany e New York, quindi oggi in territorio statunitense.
Gli altri cinque invece, tutti sacerdoti, subirono il martirio in Uronia, a 200 km a nord di Toronto, dunque in territorio oggi canadese.
Ispirati dai racconti dei primi missionari, questi religiosi chiesero ai loro superiori di poter essere inviati nell’allora cosiddetta “Nuova Francia” per farsi portatori della Buona Notizia del Vangelo ai popoli autoctoni del Canada. Coscienti dei pericoli a cui si esponevano, vivendo in seno a nazioni
spesso soggette agli attacchi nemici, parecchi di loro avevano infatti lucidamente previsto ed accettato la probabile prospettiva del martirio in odio alla fede.
Si dimostrarono sempre attenti ad annunziare il Vangelo nel pieno rispetto della cultura degli Uroni e degli Irochesi,vivendo con loro, imparando la loro lingua e, durante i repentini attacchi, non esitando a mettere a rischio la loro stessa vita.
Fu in particolare a partire dal 1640 che gli Uroni presero ad essere fieramente attaccati dalla tribù degli Irochesi, decisamente più bellicosi e feroci, più mobili sui loro veloci cavalli, ma anche spiccatamente più intelligenti, nel bene e nel male.
Tra le due popolazioni indigene scoppiò così una vera e propria guerra di sterminio, che terminò con l’annientamento quasi totale degli Uroni e di conseguenza con l’apparente annullamento dell’opera missionaria cristiana.
Fu nel contesto di questa sanguinosa guerra che si collocarono le vicende del martirio degli otto Gesuiti francesi, sottoposti ad acutissime sofferenze, data la raffinata crudeltà degli Irochesi nel torturare i loro nemici, seviziati per ore e ore, a volte  addirittura per giorni interi sino alla morte.
Basti ricordare che, ad alcune delle loro vittime, gli Irochesi divorarono il cuore, e ciò non per ferocia, bensì per ammirazione.
L’eroismo dei missionari cristiani nel sopportare i tormenti e la morte colpì tanto la loro semplice
fantasia di guerrieri, che cercarono di acquistare altrettanta forza di animo ingerendo il cuore di quei forti, quale sede del loro coraggio.  
Comunque un po' del cuore dei martiri restò davvero nell’anima degli Irochesi, poiché l’insegnamento cristiano non si estinse completamente tra le popolazioni canadesi e nei decenni successivi la colonia cattolica riprese vigore e fiorì di nuove opere,  che dal sangue dei Martiri traevano insostituibile linfa.
Questi otto intrepidi testimoni della fede cristiana divennero celebri con l’appellativo di “Martiri Canadesi” e solamente nel XX secolo si intrapresero le pratiche per elevarli agli onori degli altari.
Il Sommo Pontefice Pio XI li beatificò nel1925 ed infine li iscrisse nell’albo dei santi il 29 giugno1930.
Dieci anni dopo Papa Pio XII li dichiarò patroni secondi del Canada.
La riforma del calendario liturgico seguita al Concilio Vaticano II fissò in data odierna la loro memoria comune per la Chiesa Universale, con il nome di “Santi Giovanni de Brébeuf, Isacco Jogues e compagni martiri”.
Erroneamente questi otto santi vengono talvolta considerati i protomartiri d’America, mentre furono invece i Beati Cristoforo,Antonio e Giovanni, giovani ragazzi indigeni dell’odierno Messico, i primi ad effondere il loro sangue per Cristo nel nuovo continente già nella prima metà del XVI secolo.
Il primo Santo indigeno americano, basandosi sulla data di nascita, fu invece il confessore San Juan Diego, veggente di Guadalupe.
Si rimanda a singole schede per maggiori informazioni sui singoli martiri, commemorati in date
diverse dal Martyrologium Romanum nei rispettivi anniversari di martirio.
Ecco i loro nomi:
René Goupil, coadiutore, 29 settembre
Isaac Jogues,
sacerdote, 18 ottobre
Jean de La Lande,
coadiutore, 19 ottobre
Antoine Daniel,
sacerdote, 4 luglio
Jean de Brébeuf,
sacerdote, 16 marzo
Gabriel Lallemant,
sacerdote, 17 marzo
Charles Garnier,
sacerdote, 7 dicembre
Noël Chabanel,
sacerdote, 8 dicembre
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Martiri Canadesi (Giovanni de Brébeuf, Isacco Jogues e compagni), pregate per noi.

*San Paolo della Croce - Sacerdote (19 ottobre e 18 ottobre)

Ovada (Alessandria), 3 gennaio 1694 - Roma, 18 ottobre 1775
Nacque a Ovada, nell'Alessandrino, il 3 gennaio 1694 da famiglia nobile anche se in difficoltà economiche. Suo padre è un commerciante e lui lo aiuta, essendo il primo di 16 figli; ma il suo desiderio è creare un ordine religioso e combattere i Turchi. Infine si fa eremita e a 26 anni il suo vescovo gli consente di vivere in solitudine nella chiesa di Castellazzo Bormida, sempre nell'Alessandrino.
Qui matura l'idea di un nuovo Ordine e nel 1725 Benedetto XIII lo autorizza a raccogliere compagni: il primo è suo fratello Giovanni Battista.
Comincia a farsi chiamare «Frate Paolo della Croce», poi fonda l'ordine dei «Chierici scalzi della santa Croce e della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo» (Passionisti). Nel 1727 viene ordinato prete a Roma, poi si ritira sul monte Argentario.
Tornato a Roma, nel 1750 predica per il Giubileo. Clemente XIV gli chiede spesso consiglio così come il suo successore Pio VI. Muore il 18 ottobre 1775 a Roma e sarà proclamato Santo da Pio IX nel 1867. (Avvenire)
Etimologia: Paolo = piccolo di statura, dal latino
Martirologio Romano: San Paolo della Croce, sacerdote, che fin dalla giovinezza rifulse per spirito di penitenza e zelo e, mosso da singolare carità verso Cristo crocifisso contemplato nel volto dei poveri e dei malati, istituì la Congregazione dei Chierici regolari della Croce e della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Il suo anniversario di morte, avvenuta a Roma, ricorre il giorno precedente a questo.
(18 ottobre: A Roma, anniversario della morte di San Paolo della Croce, sacerdote, la cui memoria si celebra domani).
Ecco uno che rema contro corrente per tutta la vita. E’ Paolo Francesco Danei, di famiglia nobile per origine e malconcia quanto a denari. Il padre commercia con poca fortuna tra Piemonte e
Liguria e lui lo aiuta, essendo il primo di 16 figli. Ma ha poi certi progetti personali: creare un Ordine religioso, ad esempio; o combattere contro i Turchi...
Infine si fa eremita, dapprima per conto proprio; a 26 anni, il suo vescovo gli consente di vivere in solitudine presso una chiesa di Castellazzo Bormida (Al). Qui egli matura l’idea di un nuovo Ordine e nel 1725 papa Benedetto XIII lo autorizza verbalmente a “raccogliere compagni”.
Ne raccoglie uno: suo fratello Giovanni Battista. E intanto definisce meglio il progetto: farà esattamente ciò che all’epoca risulta più impopolare. Questa è una pessima stagione per gli Ordini religiosi, tra l’avversione dei governi, le rivalità tra loro e la debolezza nella Chiesa; a papa Clemente XIV, nel 1773, si imporrà la soppressione della Compagnia di Gesù. E’ anche il tempo della fede sopportata da molti solo quale condimento di pii languori, motivo di ritualità elegante; una fede che non parli di sacrificio e nasconda la Croce. Allora lui comincia col chiamarsi “Frate Paolo della Croce”.
Poi fonda un “inopportuno” nuovo Ordine, detto dei “Chierici Scalzi della Santa Croce e della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo”. Apertamente. Sfacciatamente, sicché tutti capiscano che lui e i suoi predicano Cristo crocifisso come Paolo apostolo, qualunque cosa esiga o imponga lo “spirito dei tempi” e qualunque smorfia facciano gli abati di corte.
Nel 1727 è stato ordinato prete dal Papa stesso. Ha assistito i malati di un ospedale romano col fratello. Poi, ritirati sul Monte
Argentario, i due hanno visto arrivare altri giovani, affascinati da quella scelta così rudemente “contro”. Sono i primi Passionisti, che il fondatore educa come predicatori agguerriti: invece dei Turchi, attaccheranno l’ignoranza, l’irreligiosità, l’abbandono del Vangelo. Per questo i Passionisti sono chiamati da ogni parte, e l’Ordine riceve via via le successive approvazioni pontificie.
Il fondatore lavora alla loro formazione da vicino e da lontano: restano di lui duemila lettere, ma ne ha scritte molte di più, forse diecimila. Nel 1750 ha predicato a Roma per il Giubileo, insieme a san Leonardo da Porto Maurizio.
Papa Clemente XIV gli chiede spesso consiglio, e va di persona a trovarlo in casa quando è malato. Così farà il suo successore Pio VI, appena eletto.
Paolo della Croce muore dopo aver visto confermata, senza modifiche, la regola del suo Ordine che, nato “fuor di tempo” nel XVIII secolo, alla fine del XX sarà attivo in Europa, in America, in Africa e in Asia. Il Padre dei Passionisti, noti per l’emblema della croce e del cuore che portano sul saio, verrà proclamato Santo da Pio IX nel 1867.

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Paolo della Croce, pregate per noi.

*Santi Sabiniano e Potenziano - Martiri (19 ottobre)

Martirologio Romano: Presso Sens nella Gallia lugdunense, ora in Francia, commemorazione dei santi Sabiniano e Potenziano, che, ritenuti i primi pastori di questa città, coronarono in essa con il martirio la propria professione di fede.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Beata Sancia d’Aragona - Vergine Mercedaria (19 ottobre)

Barcellona, 1242 – Gerusalemme, 19 ottobre 1262
Figlia del Beato Giacomo I° Re d’Aragona e cofondatore dell’Ordine Mercedario, la Beata Sancia, nacque a Barcellona verso l’anno 1242.
La giovane principessa ebbe un’educazione molto cristiana che la indusse ben presto ad abbandonare il palazzo regale e le delizie di questo mondo per il bene della Mercede.
Volle portarsi in Terra Santa per visitare i luoghi dove visse il Signore, e percorrendo quelle strade di città in città arrivò a Gerusalemme.
Spinta da una forte fede si mise al servizio nell’Ospedale soccorrendo i pellegrini poveri e bisognosi, rivestita da varie virtù e famosa per i miracoli si spense dolcemente nel bacio del Signore il 19 ottobre 1262 alla giovane età di 20 anni.
Il suo corpo fu inumato a Gerusalemme vicino alla Basilica del Santo Sepolcro.
L’Ordine la festeggia il 19 ottobre.

(Autore: Alberto Boccali - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

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*Santi Tolomeo e Lucio - Martiri (19 ottobre)
Sec. II

Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Roma, commemorazione dei Santi Tolomeo, Lucio e un altro compagno, che, come riferisce San Giustino, riconosciuti come cristiani per aver biasimato la licenziosità dei costumi e l’ingiustizia delle sentenze, furono condannati sotto l’imperatore Antonino Pio dal prefetto Lollo Urbico.
Furono tre, veramente, i Martiri che in uno stesso giorno, a Roma, verso l'anno 160, ebbero la testa mozzata per la loro fede, sotto il "Pio" Imperatore Antonino, o forse il suo successore il saggio Marc'Aurelio. Del terzo, però, non ci è stato tramandato il nome. Di Tolomeo, di Lucio e del terzo compagno innominato, ci parla uno scrittore del tempo li filosofo Giustino, anch'egli Martire dopo pochi anni.
Anche il Martire Tolomeo aveva qualcosa del filosofo, per il suo amore per la verità, la sua chiarezza non soltanto spirituale, ma anche intellettuale.
Era stato arrestato dal Prefetto di Roma, dietro denunzia di un marito vizioso e furioso, la cui moglie si era convertita al Cristianesimo. Il Martirologio Romano, calcando forse un po' troppo la
mano, dice che l'accusa era partita da un libertino, dopo che una donna impudica, una volta convertita, si era convinta a vivere in castità.
Fatto sta che Tolomeo venne arrestato, imprigionato e finalmente interrogato da un Centurione. L'interrogatorio era assai semplice, consistendo in fondo in una sola domanda: quella di essere o meno cristiano.
Per il filosofo Tolomeo, c'erano soltanto due possibili risposte a questa domanda, ambedue semplicissime: sì, oppure no. Qualsiasi altra aggiunta, complicazione, spiegazione, sarebbe stata sterile e colpevole compromesso con la viltà. Perciò rispose brevemente e chiaramente sì.
Dopo una seconda reclusione, più dura, l'imputato venne sottoposto a un nuovo interrogatorio. Questa volta davanti al Prefetto, ma con la domanda sostanzialmente identica. E identica fu la risposta del cristiano Tolomeo.
Tale seconda confessione di fede equivaleva a una condanna. E a questo punto entrò in scena Lucio, cristiano anch'egIi, meno filosofo forse di Tolomeo, ma in compenso uomo di vivo buonsenso.
Presente al processo egli non seppe trattenersi dal rivolgersi al Prefetto, esclamando: "Che bella ragione! Quest'uomo non è né adultero, né ubriacone, né assassino, né brigante, né ladro; non ha fatto insomma nulla di male: ha soltanto riconosciuto la sua qualità di cristiano. E tu lo punisci?".
"Mi sembri cristiano anche tu!", esclamò per tutta risposta il Prefetto di Roma. "Certo!", rispose Lucio. E anch'egli, venne associato alla condanna capitale.
In cammino verso il luogo dei supplizio, incontrarono il terzo compagno, di cui non ci è giunto il nome, come non conosciamo il motivo dei suo gesto. Forse era un cristiano di antica fede, che professandosi tale unì la sua sorte a quella gloriosa di Tolomeo e di Lucio.
O forse fu soltanto un contestatore, un uomo che sfidò la morte, in compagnia dei due Martiri cristiani, un po' per la fede, e un po' per protesta contro la società, e le sue ingiustizie.

(Fonte: Archivio Parocchia)

Giaculatoria - Santi Tolomeo e Lucio, pregate per noi.

*Beato Tommaso Helye - Sacerdote (19 ottobre)

† Biville, Francia, 19 ottobre 1257
Martirologio Romano: A Biville vicino a Cherbourg in Normandia, beato Tommaso Hélye, sacerdote, che impegnava i giorni nell’esercizio del sacro ministero, le notti nella preghiera e nella penitenza.
Ci è noto soprattutto per la relazione scritta dal contemporaneo Clemente subito dopo la sua morte, e degna di credito perché il suo autore potè servirsi del processo verbale dell'inchiesta effettuata dal vescovo di Coutances nel 1260 e delle deposizioni dei testimoni dei miracoli.
Figlio di Elia e di Matilde, Tommaso Helye nacque agli inizi del XIII sec. a Biville presso Cherbourg. Fu dapprima istitutore a Biville e poi a Cherbourg, dove diresse una scuola. Era assiduo agli Uffici e si sottoponeva a mortificazioni corporali, digiunando molte volte per settimana.
Avendo compiuto un pellegrinaggio a Roma, ritornò a Parigi per studiarvi la teologia e fu ordinato prete verso il 1236.
Per vent'anni egli si dedicò all'apostolato itinerante in tutte le parrocchie della diocesi di Avranches e di Coutances, accompagnando la sua predicazione con esercizi di pietà e di austerità,
che colpivano l'immaginazione dei suoi uditori.
Quando arrivava in una parrocchia, si diceva: «Ecco l'uomo di Dio!». La sua devozione all'Eucaristia era notevole e più volte gli avvenne di essere favorito da grazie durante la celebrazione della santa Messa.
Le tradizioni che affermano che Tommaso Helye abbiaesercitato il suo ministero al di fuori delle duediocesi e specialmente alla corte di San Luigi comecappellano, non si basano su alcun serio fondamento. Morì il 19 ottobre 1257.
Dal 1260 egli ebbe una sua cappella nella chiesa parrocchiale di Biville e nello stesso anno, Jean d'Essais, vescovo di Coutances, faceva iniziare a Roma la procedura di canonizzazione, dopo aver condotto un'inchiesta, di cui Clemente si servi per scrivere la Vita.
Nel 1266 Eudes Rigaud, arcivescovo di Rouen, in visita a Biville, testimoniò degli straordinari miracoli ottenuti dal servo di Dio. Nel XIV sec. la chiesa parrocchiale di Biville mutò poco a poco il suo patronato e divenne la chiesa di San Tommaso. Nel 1794, durante la Rivoluzione francese, gli abitanti riuscirono a mettere in salvo le sue reliquie ed evitare la loro profanazione.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Tommaso Helye, pregate per noi.

*San Varo e Compagni - Martiri in Egitto (19 ottobre)

Egitto, † 307
In data odierna il Martyrologium Romanum commemora il soldato San Varo che, sotto l’imperatore Massimiano, visitando e confortando i sei santi eremiti tenuti in carcere in Egitto ed essendo morto il settimo, ne volle prendere il posto in prigione. Orribilmente torturato, meritò con i suoi sei compagni monaci di conseguire la palma del martirio.
Martirologio Romano: In Egitto, San Varo, soldato, che, sotto l’imperatore Massimiano, mentre visitava e confortava sei santi eremiti tenuti in carcere, volle prendere il posto di un settimo che era morto nell’eremo e, così, patiti insieme a loro crudeli supplizi, conseguì la palma del martirio.
Ci sono più notizie riguardanti le fonti (Passio, menologi, menei, sinassari bizantini, ecc.) che riportano alternativamente e spesso in contraddizione fra loro, informazioni sui martiri egiziani di
cui parliamo, che le notizie stesse.
Al tempo di Massimiano Valerio (250-310) imperatore, il soldato Varo s’interessò della sorte di sei eremiti in Egitto, che erano stati imprigionati a causa della persecuzione in atto contro i cristiani.
Sembra che in un primo tempo, gli eremiti fossero sette, ma uno di loro morì al momento dell’arresto nel deserto egiziano, oppure secondo altre fonti, morì durante la dura prigionia.
Si sa comunque che Varo, che andava a confortarli, dichiaratosi cristiano, espresse il desiderio di sostituirsi al settimo eremita defunto; per questo venne immediatamente condannato ad essere flagellato e poi dilaniato con gli uncini, era il 307 ca.
L’indomani fu il turno dei sei eremiti, dei quali s’ignorano i nomi; essi dopo aver rifiutato di fare sacrifici agli dei, furono sottoposti a svariati tormenti, in particolare ad una lunga e cruenta flagellazione, che procurò loro la morte. Altra fonte dice che essi dopo la flagellazione, furono condotti fuori la città per essere decapitati.
Il culto di san Varo e dei sei eremiti è rimasto sconosciuto in Occidente, e i loro nomi assenti nei vari Martirologi medioevali; solo Cesare Baronio, li inserì al 19 ottobre nel Martirologio Romano, compilato nel XVI secolo, riferendosi ad un Menologio bizantino; bisogna aggiungere che alcune fonti greche, riportano che gli eremiti furono sette fino alla fine.
Il corpo del soldato Varo fu raccolto da una pia donna di nome Cleopatra, che lo seppellì in luogo sicuro nella propria casa.
Passata la persecuzione, ella ripartì verso la Palestina da dove era originaria, portando con sé segretamente le reliquie del martire, per le quali fece costruire una chiesa presso il Monte Thabor.
In quello stesso luogo, Cleopatra fece seppellire suo figlio, morto poco tempo dopo, disponendo di essere sepolta lei stessa dopo la sua morte. I Menei ed i Sinassari bizantini, celebrano la loro memoria sia il 19 ottobre, sia il 25 ottobre.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Varo e Compagni, pregate per noi.

*San Verano di Cavaillon - Vescovo (19 ottobre)

Martirologio Romano: A Cavaillon nella Provenza in Francia, San Verano, vescovo, colmo di grandi virtù, soprattutto nell’assistenza ai malati.
Verano (Wrain, latinizzato in Veranus o Uranus) nacque in Francia, a Barjac (secondo alcune fonti invece ebbe i natali a Lanuéjols). Ordinato sacerdote nel 540, visse da eremita a Vaucluse conquistandosi la fama di Santo. Desideroso di pregare sulle tombe degli Apostoli, intraprese un viaggio diretto a Roma, seguendo in  parte la "Strada peregrinorum" che sarebbe poi diventata la via Francigena o Romea. La “Leggenda” di Verano enumera numerosi miracoli che il Santo operò nelle varie località in cui visse o che visitò. Il suo apostolato fu in particolare per la conversione dal paganesimo e per tale motivo è sovente raffigurato mentre sottomette simbolicamente un drago. A Fontaine-de-Vaucluse liberò il fiume Sorgue da un drago che cacciò nelle Alpi, a Ravenna richiamò in vita il figlio di un gentiluomo e una fanciulla, distrusse gli idoli e convertì molti alla Fede. A Torino liberò un uomo condannato al rogo, estinguendo il fuoco gettandovi il bastone, a Milano col segno della Croce liberò dai demoni e da malattie molte persone come fece ad Embrun.
A Briancon offrì senza alcuna resistenza il collo ad un masnadiero, ma poi lo convertì risanandogli un braccio. In Cavaillon trasse fuori da una caverna un dragone che infestava tutto il paese legandolo con  una catena. A Peccioli (Pisa) con un segno di croce liberò il borgo da una pestilenza e dal paganesimo che in parte era ancora presente nella popolazione. Sostò ad Albenga dove collaborò con il vescovo per l’evangelizzazione dei pagani anche in quelle terre ancora numerosi. Rientrato in Gallia, Re Sigeberto I lo elesse vescovo di Cavallion nel 568, come riferisce un antico manoscritto conservato a Orlèans.
L'anno seguente, avendo la Regina Fredegonda fatto assassinare l’arcivescovo di Rouen, durante una celebrazione, Verano la apostrofò per l'omicidio. Lo storico Gregorio di Tours raccontò che poco dopo il 581 lo conobbe personalmente. Verano fu tra i sottoscrittori del sinodo di Macon, convocato nel 585. Fu padrino del futuro re merovingo Teodorico II che venne battezzato ad Orléans nel 587. Nel 589 difese con altri otto prelati di fronte al re di Borgogna alcuni vescovi che giustamente avevano scomunicato una comunità di monache. Si attribuisce a Verano uno scritto contro il matrimonio dei preti, a quell'epoca fatto usuale.
Dopo averne predetto il giorno, Verano morì di peste ad Arles nel 590. Durante il funerale, il suo mantello si alzò in aria facendo da guida al corteo fino al luogo che il Santo aveva deciso per la sepoltura. Dopo la sua morte la sede vescovile di Cavallion rimase vacante per due secoli. Verano fu
probabilmente sepolto a Vallis Clausa, in una chiesa distrutta dai barbari nel VI secolo, sostituita nel 979 dal priorato di Notre-Dame et Saint-Véran. All'inizio dell'XI secolo parte delle reliquie fu trasportata presso Orléan, dove fu nominato patrono del capitolo della collegiata di Saint-Étienne a Jargeau. Nel 1311 il vescovo di Cavaillon le fece trasportare in cattedrale.
Parte delle spoglie sono venerate ad Albenga in S. Michele. Ben sette comuni francesi portano il suo nome, Verano è inoltre patrono di quattro abbazie e  ha ispirato numerosi inni. È patrono di Saint Véran (dipartimento delle Hautes-Alpes) e in Italia di Abbadia Alpina (Pinerolo) e di Peccioli (Pisa) che celebra solennemente la sua festa il 25 ottobre.
Qui gli fu dedicata una chiesa che divenne meta di pellegrini anche perché conserva una sua insigne reliquia. Vi esisteva anche una tavola duecentesca, attualmente al museo di Brera a Milano, intitolata “Verano tra due angeli e storie della sua vita”. Di scuola pisana, databile al 1270-1275, il Santo è a figura intera e benedicente. La più antica notizia di Verano ad Albega si trova negli statuti comunali del 1288, in un elenco di festività.
Parte delle sue reliquie sarebbero giunsero nella cittadina ligure nel 1251 ad opera del canonico arcidiacono della cattedrale, Giacomo Cepulla, segretario di Papa Innocenzo IV, come risulta da un manoscritto del 1637. Nel 1665 fu pubblicata ad Avignone da François Mathieu «La vie admirable du bienheureux saint Véran, évêque de Cavaillon et patron de la ville et du diocèse». Una ricognizione delle reliquie venerate ad Albenga è stata fatta nel 1989.
Si festeggia il 14 novembre, in passato, l’8 giugno, veniva celebrata la traslazione delle spoglie nel nuovo altare a lui dedicato nel 1460 dal vescovo Napoleone Fieschi.
(Autore: Daniele Bolognini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Verano di Cavaillon, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (19 ottobre)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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